1 giugno 2011


Haiti: ribassano le stime delle vittime del sisma.

Lo rivela un rapporto commissionato dal governo statunitense, secondo cui i morti furono tra i 46mila e gli 85mila, ben al di sotto del bilancio del governo haitiano, che parla di 316mila vittime. Il documento ipotizza anche che molti di coloro che ancora vivono nelle tende non persero affatto le loro abitazioni nel disastro.

Il rapporto, che ancora non è stato pubblicato, si basa su un documento commissionato da Usaid (l'agenzia del governo Usa che da 40 anni distribuisce gli aiuti umanitari per conto di Washington) e attinge i dati da un censimento porta a porta condotto per 29 giorni esattamente un anno dopo il sisma, nel gennaio 2011. La portavoce del Dipartimento di Stato, Preet Shah, ha detto che il documento contiene alcune incoerenze e che non sarà reso pubblico fino a quando non saranno risolti. Il timore però è che i nuovi dati possano ostacolare il multimiliardario sforzo per la ricostruzione ad Haiti.

Il documento ipotizza che furono circa 895mila le persone che si trasferirono nelle tendopoli attorno alla capitale subito dopo il sisma (il rapporto dell'Oim, l'Organizzazione Internazionale per i migranti, parlava invece di 1,5 milioni) 375mila circa quelli che ancora vivono in tende (contro i 680mila dell'Oim), e che anche le macerie attorno alla capitale erano significativamente minori di quanto non ci si potesse attendere.
Il terremoto di 7 gradi di intensità che nel gennaio 2010 fece tremare Haiti, mise in moto un colossale sforzo di aiuti internazionali, che portarono tra l'altro allo stanziamento di quasi 4 miliardi di euro, raccolti durante la conferenza dei donatori dello scorso anno.

4 maggio 2011


Sad e Infanzia: presentata la nuova pubblicazione

Dalla necessità di dotarsi di strumenti di analisi e conoscenza più raffinati, più aderenti alla complessità della situazione sociale in cui versano le infanzie del Mondo, nasce la pubblicazione “SaD e Infanzia. Promozione di capitale sociale per lo sviluppo umano”, che è stata presentata nel corso del XII° Forum Nazionale del Sostegno a Distanza, tenutosi recentemente a Livorno presso la Fondazione LEM e promosso da Comune di Livorno, ForumSaD, ELSAD e Agenzia per le Onlus.

L’opera è curata da Umberto Marin, responsabile per le politiche culturali di ForumSaD, e contiene i contributi di antropologi, economisti, sociologi con l’obiettivo, come spiega Marin, di guidare «il processo di crescita dimensionale e qualitativo collegato al SaD» offrendo a tutti gli operatori del settore, ma anche a chi volesse avvicinarsi al SaD per interesse culturale, «una “cassetta degli attrezzi” indispensabile per poter di volta in volta saper leggere le realtà dove si sviluppano le iniziative di cooperazione e solidarietà».

Uno spaccato interessante per comprendere una particolare forma di cooperazione decentrata è offerto dalla seconda parte della pubblicazione, curata dagli enti ELSAD (Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per il Sostegno a Distanza presieduto dalla Provincia di Milano), impegnati, sin dal 2005, nella promozione del Sostegno a Distanza sui territori di Province e Comuni. Al coordinamento aderiscono attualmente 41 Enti Locali, ma l’obiettivo per il prossimo futuro è quello di allargare il raggio d’azione, come ha spiegato il consigliere provinciale milanese Pietro Accame che ha aggiunto: «La Provincia di Milano crede nella cooperazione decentrata e nel valore del sostegno a distanza per il carattere umanitario ma anche per la sua funzione pedagogica. Il SaD educa i nostri giovani, in maniera discreta, ad un regime di condivisione ed allena alla sensibilità sui bisogni di tutti. Auspichiamo un allargamento della rete ELSAD, che possa unire Province, piccoli Comuni, grandi Città e anche le Regioni in un impegno condiviso a favore di questa importante pratica solidale che interessa una larga parte dei nostri territori».

2 maggio 2011

Il cammino dell'infanzia


Il percorso compiuto dall’umanità fino alla ‘Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia’ è stato lungo e tortuoso. Dal Medioevo al Rinascimento fino ai nostri giorni.



Il modo di considerare l’infanzia e i bambini è cambiato moltissimo nel corso dei secoli. Il percorso compiuto dall’umanità fino alla ‘Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia’ è stato lungo e tortuoso. Partendo dall’antichità, con l’eccezione dell’India dove i bambini erano coccolati dai loro genitori e non subivano alcuna costrizione e dell’Egitto, dove una famiglia numerosa era considerata un dono degli dei, in generale i padri avevano diritto di vita e di morte sui propri figli, con la figura del pater familias sancita dal diritto romano, che tanta influenza avrà sul diritto occidentale.

Nel Medioevo i bambini potevano essere venduti, la mortalità infantile era altissima e i pochi che potevano studiare ricevevano un’istruzione fortemente influenzata dalla morale della Chiesa. Poi nel Rinascimento si assiste a un’esplosione pedagogica, con Rabelais e Montaigne, e si inizia una lenta revisione dello statuto morale e sociale dell’infanzia.

Nel XVII secolo il padre rimane però sempre onnipotente, mentre nel XVIII l’infanzia rimane un periodo sempre molto corto. I bambini partecipano alle guerre e lavorano fuori casa. Jean-Jacques Rousseau inizia a considerarli come persone con il proprio valore e definire i loro bisogni.
La Rivoluzione francese segna l’inizio di una nuova era con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Nel XIX secolo il codice napoleonico ristabilisce l’onnipotenza della figura paterna, che può esigere l’incarcerazione del figlio minore di 16 anni. L’avvento dell’industria rende frequenti gli abusi sui bambini, per cui alla fine, dopo vari passaggi, si stabilisce l’età minima del lavoro a 16 anni.

Dalla I Guerra Mondiale agli Obiettivi del Millennio

Ma è nel XX secolo che inizia a crearsi quella mentalità e cultura che cambierà totalmente la considerazione dei diritti dei minori.

Nel 1920, sotto gli auspici della Croce Rossa a Ginevra, nasce l’Unione internazionale di soccorso ai bambini, per prevedere misure speciali di protezione dei piccoli in periodo di guerra.

Nel 1924 la Società delle Nazioni vota una dichiarazione in 5 punti dei diritti del bambino, la Dichiarazione di Ginevra, che nel 1946 diventa la Carta dell’unione internazionale della protezione dell’infanzia, mentre l’Onu crea l’Unicef.
Nel 1959 l’Onu adotta la Dichiarazione dei diritti del bambino in 10 punti, e si instaura la Giornata internazionale dei diritti del bambino.

Nel 1973 la Convenzione 138 stabilisce l’età minima per l’ammissione al lavoro, e finalmente, il 20 novembre del 1989, l’assemblea generale dell’Onu adotta la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia in 54 articoli, che entra in vigore in tutti i Paesi aderenti l’anno successivo.

Nel 2000 viene adottato dall’Onu il protocollo facoltativo sui bambino soldato, mentre nel 2002 entra in vigore quello contro la vendita, prostituzione e pornografia che mette in scena dei bambini.

Per quanto riguarda l’istruzione primaria universale, rimane ancora un obiettivo lontano la scadenza del 2015 degli Obiettivi Onu del Millennio, anche se le iscrizioni alla scuola primaria stanno aumentando, specialmente in Africa e in Asia meridionale.

Tra il 1999 e il 2015 il totale dei bambini che non ha avuto accesso alla scuola è passato da 103 a 75 milioni, e nei Paesi in via di sviluppo è aumentata la percentuale dei bambini che hanno completato il ciclo di istruzione primaria, passato dal 69% del 1995 al 79% del 2005. Ma tanto rimane ancora da fare.

22 marzo 2011

Giornata mondiale dell'acqua: un bene comune da difendere


Senza acqua non
c'è dignità e non vi è via d'uscita dalla povertà”. Lo afferma il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon nel suo messaggio per la ‘Giornata mondiale dell’acqua’ promossa dalle Nazioni Unite che quest’anno ha come tema “Acqua per le città: rispondere alla sfida dell’urbanizzazione”. “L’urbanizzazione offre opportunità per una gestione più efficiente e un migliore accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici” – nota Ban Ki-moon. “Ma allo stesso tempo, nelle città i problemi si accrescono e stanno attualmente superando la nostra capacità di trovare soluzioni”.

Negli ultimi dieci anni – sottolinea Ban – il numero di abitanti delle città che non hanno accesso ad un rubinetto in casa o nelle immediate vicinanze è aumentato di circa 114 milioni e quello di coloro che non hanno accesso ai servizi sanitari di base è aumentato di 134 milioni. Tutto questo ha avuto un impatto estremamente negativo sulla salute umana e sulla produttività economica: le persone sono malate e inabili al lavoro”. Il segretario dell’Onu ricorda quindi che “nel mondo le persone più povere spesso non hanno altra scelta che comprare l'acqua da fornitori informali a prezzi superiori dal 20 al 100 per cento rispetto a quelli dei loro vicini più ricchi che ricevono l'acqua direttamente nelle loro case”. “Questo non è solo insostenibile, è inaccettabile” – conclude Ban Ki-moon.

Quest’anno è Città del Capo ad ospitare le iniziative più significative della giornata promossa dalle Nazioni Unite. Nella città sudafricana si stanno discutendo i temi relativi al diritto all’acqua e a servizi sanitari adeguati in un continente dove la spinta all’urbanizzazione non sempre è accompagnata da politiche adeguate aprendo la strada a una serie di sfide ancora da vincere. “Oggi - scrivono i promotori dell’iniziativa - una persona su due nel mondo vive in una città e il tasso di urbanizzazione è in continua crescita sia per il naturale aumento della popolazione sia per lo spopolamento delle campagne. Il 93% dell’urbanizzazione si sta registrando in paesi poveri o in via di sviluppo e nel 40% dei casi a crescere sono le baraccopoli: fino al 2020, ogni anno ci saranno 27 milioni di nuovi abitanti di slums”.

Nel 2025, secondo i dati del World Water Forum, circa 1,8 miliardi di persone vivranno in paesi o regioni colpite da una grave scarsità di acqua e due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di carenza estrema. Già oggi più di 884 milioni di persone nel mondo non hanno acqua potabile, mentre 2,6 miliardi di persone - sui 6 miliardi che popolano il pianeta – mancano di sistemi igienico-sanitari adeguati ricorda l’Unicef.

Non solo l’acqua non è disponibile a tutti, ma oggi la sua accessibilità è minacciata in numerosi paesi dai processi di privatizzazione. “L’acqua è il bene comune più prezioso, un diritto di tutta l’umanità. L’acqua appartiene a tutti e non può essere ridotta a una merce. Nessuno può assumerne la proprietà. Appartiene all’umanità intera! Ad ognuno di noi” – afferma Guido Barbera, presidente del Cipsi, il coordinamento di associazioni da anni attivo per chiedere l’acqua sia riconosciuta come un “bene comune” e un “diritto umano”. “L’acqua è tanto preziosa da meritarsi l’appellativo di ‘oro blu’ sui mercati finanziari, generare conflitti, influenzare migrazioni” – sottolinea il presidente del Cipsi che per la giornata odierna ha preparato un Dossier statistico sull’acqua.




8 marzo 2011

Giornata mondiale contro le discriminazioni razziali


Il 21 marzo le Nazioni Unite celebrano lo "International Day for the Elimination of Racial Discrimination", la Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale. La giornata è stata proclamata dall’Assemblea Generale dell'Onu nel nel 1966: la data è stata scelta per commemorare il giorno del 21 marzo 1960 quando la polizia di Shaperville, nel Sud Africa, aprì il fuoco ed uccise 69 manifestanti pacifisti che protestavano contro le leggi emanate dal regime dell’apartheid. Leggi
.

31 gennaio 2011


Mozambico: iniziata una distribuzione di alimenti nelle aree colpite dalla siccità.


Solidaria sta intervenendo in alcuni distretti della provincia di Sofala distribuendo, in collaborazione con il PMA, alimenti sia alle famiglie dei minori sostenuti a distanza che a nuclei familiari particolarmente vulnerabili, colpiti dalla siccità.

La scarsa produzione agricola registrata in quasi tutti i distretti delle provincie di Sofala e Manica sta infatti causando i primi decessi per la fame, in particolare tra la popolazione più vulnerabile: bambini e anziani. Il Governo non ha ancora fonito dati relativi al numero di persone che hanno necessità di cibo, ma le organizzazioni umanitarie concordano nel riferire che circa ventimila famiglie hanno abbandonato le loro abitazioni per la fame, causata in alcune zone dalla siccità e, in altre, dalle inondazioni che hanno colpito le provincie centrali e meridionali del Mozambico, in particolare le valli dello Zambesi e dell’Incomati, sia per le piogge che continuano a cadere da dicembre, sia per l’apertura dell’invaso di alcune dighe per scaricare l’acqua in eccesso.
Le inondazioni hanno causato ad oggi la perdita di 19.500 ettari coltivati a mais, patate e fagioli che rappresentano la base dell’alimentazione nelle zone rurali, oltre alla perdita di migliaia di capi di bestiame.


Solidaria, tramite Acçao de Solidariedade, ha iniziato la distribuzione, che continuerà nei prossimi mesi, di prodotti alimentari. Alcune immagini sono visibili cliccando qui.

25 gennaio 2011


Milioni di bambini nel mondo soffrono povertà, malattia, emarginazione


Nonostante siano passati più di 20 ann
i dalla Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite che sancisce i diritti dei bambini, sono ancora milioni quelli che continuano a soffrire la povertà, la malattia e l'emarginazione. Nel mondo sono 2,1 miliardi, circa il 35% della popolazione mondiale. Ogni anno ne nascono circa quasi 129 milioni.
Globalmente, 1 bambino su 4 vive in estrema povertà, in fam
iglie che hanno un reddito inferiore ad un dollaro al giorno. Nei paesi in via di sviluppo, 1 bambino su 3 vive in estrema povertà. Un bambino su 12 muore prima di aver compiuto 5 anni, in gran parte per cause prevenibili.
In tutto il mondo 250 milioni di bambini a
l di sotto dei 14 anni sono costretti a lavorare; fra questi, secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, sono 120 milioni i bambini tra i 5 e i 14 anni che lavorano a tempo pieno, cioè circa il 50%. Secondo alcuni dati statistici dell'Unicef, su 100 bambini nel mondo, 27 non hanno ricevuto alcuna vaccinazione contro le malattie, 32 bambini hanno sofferto di malnutrizione prima dei 5 anni, solo 44 bambini sono stati allattati esclusivamente al seno nei primi tre mesi di vita, 18 bambini non hanno accesso all'acqua potabile, 39 vivono in aree prive di impianti igienici adeguati, 18 bambini non frequentano la scuola e, di questi, 11 sono bambine; 25 bambini su 100 che iniziano a frequentare il primo anno delle elementari non proseguono fino al quinto anno, 17 bambini su 100 non sanno scrivere, né leggere, 11 sono bambine.

La speranza di vita media per i bambini nel mondo oggi è di 64 anni; nei paesi industrializzati è di 78 anni; nei 45 paesi maggiormente colpiti da HIV-AIDS è di 58 anni; in Botswana, Malawi, Mozambico, Ruanda, Zambia e Zimbabwe, i paesi più colpiti dall'HIV/AIDS, per i bambini la speranza di vita è di meno di 43 anni.
Metà di quelli che vivono nei paesi dell'Asia meridionale sono malnutriti. Un terzo dei bambini dell'Africa subsahariana non ha cibo sufficiente. Un bambino su tre in Albania, Uzbekistan e Tagikistan e uno su sette in Ucraina, Russia e Armenia è denutrito. In Vietnam il 17% dei bambini nasce sottopeso, mentre il 40% dei piccoli sotto i 5 anni risulta sottopeso a causa della malnutrizione.
Per quanto riguarda il grave fenomeno dei bambini di strada, nei paesi latino-americani sono circa 30 milioni i minori che lavorano per aiutare la famiglia di origine, e quelli che vivono per la strada, in forma stabile o temporanea, sono all'incirca 15 milioni. AIDS, conflitti, povertà sono le cause dell'aumento nel Continente africano. Cresce poi il numero degli orfani senza tutela, in Ruanda, dove la guerra civile ha reso orfani quasi 100.000 bambini, si contano ormai a migliaia i bambini e i ragazzi che lavorano e vivono sulla strada nella capitale Kigali. E così nella Repubblica Democratica del Congo, Burundi, Angola.

Queste statistiche sui paesi in via di sviluppo si affiancano a quelle, non meno preoccupanti, sulla povertà e lo stato di salute dei bambini nei paesi europei che dallo sviluppo stanno regredendo: quasi 18 milioni di bambini dei paesi dell'ex Unione Sovietica e del vecchio blocco dell'Europa dell'Est devono vivere con una sterlina e mezzo al giorno. Nella sola Mosca ci sono oltre 60.000 bambini senza casa; a Budapest sono tra i 10.000 e i 12.500, mentre nella sola Bucarest ce ne sono oltre 5.000. Ovunque la prostituzione minorile è un fenomeno legato alla vita di strada: i bambini che lavorano in night club, bar e ritrovi o che dormono per strada o alla stazione sono esposti al rischio dello sfruttamento sessuale.

Per quanto riguarda le malattie, nelle regioni più povere dell'Europa dell'Est e dei Balcani difterite, pertosse e tetano causano ogni anno molti decessi: in Albania, per esempio, poco più della metà dei bambini tra 1 e 2 anni è vaccinata contro queste malattie; si è poi registrato un aumento del 50% dei casi di tubercolosi dovuto, come nell'ex Unione Sovietica, al proliferare di forme resistenti ai farmaci per l'impiego di trattamenti terapeutici inadatti.

(Agenzia Fides)



13 gennaio 2011


Alluvioni in Brasile: i bambini sostenuti non sono stati colpiti.


È salito a 335 il bilancio delle vittime delle alluvioni che stanno devastando da martedì il sudest del Brasile. Le città più colpite sono tre: Teresopolis, a 100 km da Rio de Janeiro, dove sono morte un totale di 146 persone, i soccorsi sono ostacolati dal fango ed è stato decretato lo stato di emergenza, Nova Friburgo dove i morti fino ad ora accertati sono 155 e Petropolis, dove Solidaria collabora con il Centro Terra Santa. Qui vittime sono 40 e la città è accessibile solo in elicottero.

Abbiamo provveduto a contattare telefonicamente il nostro referente locale, Padre Diego, il quale ha affermato che i bambini sostenuti e le loro famiglie stanno bene ed ha inviato inoltre un email, riportata di seguito.



Il presidente Dilma Rousseff ha stanziato 780 milioni di dollari per i soccorsi nelle regioni colpite. In poco più di 24 ore, sullo stato di Rio de Janeiro sono cadute l'84% delle precipitazioni previste per l'intero mese di gennaio: un vero e proprio diluvio che ha provocato allagamenti, frane, smottamenti con un bilancio che sale di ora in ora. Tredici le vittime anche nello Stato di San Paolo. Il governatore di Rio de Janeiro ha chiesto al governo l’intervento urgente di squadre militari esperte nei soccorsi e di aerei in grado di mettere in sicurezza la popolazione.

Il ministro della difesa, Nelson Jobim, è sconfortato: "In alcuni punti sembra uno scenario di guerra. Quello che abbiamo visto è un panorama desolante, provocato dalla violenza dell'acqua e dalle frane delle colline, che hanno fatto morti e danni gravi alle strade, le abitazioni e le infrastrutture della zona. Delle aree che abbiamo sorvolato intorno ai municipi di Petropolis, Teresopolis e Nova Friburgo, riteniamo che la situazione peggiore sia quella di quest'ultimo centro. Molte zone rurali di Nova Friburgo sono rimaste isolate. In questa prima fase punterà soprattutto a dare più rapidità e agevolare l'arrivo degli aiuti e l'avvio della ricostruzione."
Non solo Tunisi:
sono 80 i paesi a rischio alimentare



L’esercito è schierato a Tunisi, e la “guerra del pane” continua anche in Algeria. Ma i movimenti di protesta scatenati dall’aumento dei beni di prima necessità non sono solo un problema del Nord Africa. Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione ha detto che sono 80 i Paesi in situazione di deficit alimentare e che «oggi viviamo l’inizio di una crisi alimentare simile a quella del 2008».

Quella che è stata chiamata “rivolta del pane” si diffonde a catena da un centro urbano all’altro, anche attraverso il tam tam dei social networks, come twitter a facebook. Dalla Tunisia all’Algeria. Il 4 gennaio nel quartiere popolare di Belouizdad ad Algeri gruppi di giovani affrontano le forze di polizia. A innescare la miccia anche è anche qui la decisione del governo di aumentare del 20-30% i prezzi dei beni alimentari di largo consumo, come il pane, l'olio e lo zucchero. Dopo la capitale gli scontri scoppiano anche in altri centri algerini, tanto che il ministro del commercio abolisce la tassa su pane e alimentari, ma il provvedimento basta a riportare la calma.

Le cause. L’aumento del prezzo del cibo è uno dei fattori scatenanti, anche se non l’unico, della rivolta in Nord Africa, che potrebbe essere la spia di un disagio più ampio. La Fao già a dicembre parlava di una «situazione allarmante» a livello internazionale, che rischia di travolgere soprattutto le economie dei Paesi emergenti. Un dato è certo: l’Indice dei prezzi alimentari (Ffp) - che misura l'andamento mensile dei prezzi di un paniere che include tra l’altro cereali, carne, zucchero, olio di semi - ha toccato a dicembre i massimi storici.
«La siccità in Russia e Kazakisthan accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina stanno facendo aumentare i prezzi dei cereali» avvisava già a dicembre l’economista Fao Abdolreza Abbassian.
È in atto una nuova crisi alimentare, simile a quella scoppiata nel 2008, che fu causata fra l’altro da un’ondata speculativa sui beni di prima necessità? La Fao è cauta, ma nei suoi rapporti non riesce a essere rassicurante: lo stesso Abbassian ha dichiarato che è «una follia» aspettarsi che i prezzi raggiunti a dicembre rimangano un picco insuperabile. Per Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari mette a rischio circa 80 paesi nel mondo che attualmente sono in una situazione di deficit alimentare.

Oggi, come nel 2008, sottolinea de Schutter, «non c’è un problema di penuria». Tuttavia, rileva, quando si accumulano informazioni come quelle legate ad incendi in Russia, alla canicola in Ucraina, a piogge troppo forti in Canada o altre notizie di questo tipo, spiega, «alcuni operatori di mercato preferiscono non vendere subito mentre gli acquirenti provano ad acquistare il più possibile: quando tutti fanno così i prezzi aumentano». A questo fenomeno, sottolinea, «si aggiunge l’aumento della produzione legata ai biocarburanti». Gli stock mondiali di cereali nel 2011, sottolinea de Schutter, «saranno pari a 427 milioni di tonnellate contro 489,8 nel 2009: questa perdita di circa 63 milioni di tonnellate per oltre i due terzi è imputabile agli Usa e all’Ue che puntano sui biocarburanti».


I rimedi. A rischio crisi alimentare sono soprattutto i paesi africani.«I paesi del Sahel», sottolinea de Schutter, «sono generalmente in una situazione di deficit alimentare perché producono spesso per l’esportazione e dipendono dal riso e dal grano per alimentarsi».

L’impennata dei prezzi del grano del 2008, però, qualcosa ha insegnato. «L’agricoltura è tornata a essere una priorità», dice de Schutter, «ma i fondi promessi tardano. Sui 20 miliardi di dollari promessi al G8 dell’Aquila nell’aprile del 2009 solo il 20% è stato sbloccato. È molto deludente».


Fonte: Unimondo

Haiti: un anno dopo


Violenze, macerie, un milione di senzatetto. Un anno dopo il terremoto che ha distrutto l'isola caraibica la situazione rimane critica.

Una distesa di macerie, un milione di senzatetto, furti che continuano a crescere. L’incubo di Haiti sembra non avere fine, e ad un anno di distanza dal terremoto che ha devastato l’isola piu’ povera dell’emisfero occidentale, il panorama e’ desolante.
Gli aiuti alla popolazione devono essere rinnovati e raddoppiati”, sostiene il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon durante la cerimonia di commemorazione degli haitiani e dei funzionari delle Nazioni Unite rimasti sotto le macerie. Al Palazzo di Vetro sono stati osservati 47 secondi di silenzio, numero che simbolicamente ricorda la durata della scossa che ha devastato l’isola. “Dobbiamo essere realisti – ha proseguito Ban Ki-moon – la ripresa è lenta, continuano i disordini e i saccheggi, ma molti passi avanti sono stati fatti per fronteggiare la serie di tragedie che ha colpito la popolazione”.

Alle 230.000 persone uccise dalla scossa del 12 gennaio scorso infatti si sono aggiunti i morti a causa del colera, ad oggi quasi 4.000. Ci sono un milione di persone, tra cui 500.000 bambini, che vivono ancora nelle tende lungo le strade e le piazze di Haiti, senza accesso ai servizi di base, e un bambino su tre sotto i 5 anni è gravemente denutrito.

L’isola caraibica è soffocata da 19 milioni di metri cubi di detriti. La ricostruzione procede al rallentatore e gran parte dei soldi promessi non sono mai arrivati. “
Nessuno è più irritato di me perchè non e’ stato fatto di più - ha spiegato l’ex presidente Usa Bill Clinton, incaricato di coordinare gli aiuti internazionali dopo il sisma – ma la situazione sta migliorando. Sono ottimista per il futuro”, ha detto Clinton, arrivato ad Haiti per partecipare alle cerimonie di commemorazione.

Per Medici Senza Frontiere invece le condizioni nell’isola rimangono critiche. “Dopo il terremoto le donazioni garantite dai paesi ricchi superavano i due miliardi di dollari, ma il 58% di questa cifra è rimasto soltanto una promessa”, ha rivelato. “L’Onu ha incassato solo il 25% degli aiuti richiesti, è una vergogna”, accusa Elizabeth Byrs, capo dell’ufficio che coordina gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite. E gli haitiani incalzano: “Sentiamo parlare di soldi per ricostruire l’isola, ma non li abbiamo mai visti”. La popolazione è allo stremo delle forze.

E a questo quadro drammatico si aggiunge una situazione molto difficile dal punto di vista politico e dell’ordine pubblico. Il secondo turno delle elezioni presidenziali, previsto per il 16 gennaio, è stato rinviato. Il candidato delle tendopoli, il cantante Michel Martelly, è stato escluso, e questo ha causato la rabbia della popolazione e infittito i sospetti di brogli su gli altri due politici rimasti in lista, l’ex first lady Mirlande Manigat e il ‘protetto’ del presidente uscente Rene Preval. “
Non ha mai mosso un dito per aiutarci, ci guarda come fossimo animali”, dicono di lui gli abitanti dell’isola.

Fonte: Quotidiano.net

Guarda le immagini su Flickr


5 gennaio 2011

Un regalo di Natale per i bambini sostenuti nella Repubblica Dominicana



Anche quest’anno i bambini sostenuti nella Repubblica Dominicana, oltre al materiale ricevuto durante l’anno, hanno avuto per Natale un piccolo regalo grazie al contributo dei nostri sostenitori.
Solidaria per tutti questi bambini rappresenta un punto di riferimento sicuro e una speranza per un futuro migliore: nei disagi della loro vita quotidiana, hanno qualcosa su cui possono contare.

Qualcosa che li guida, che cerca di formarli come persone, che porta un po di luce nel cammino della loro vita e che li protegge dai pericoli che incontrerebbero se fossero lasciati a loro stessi.

Un grazie dunque ai nostri sostenitori per continuare a dare la speranza di cui tutti qui hanno bisogno.


Ecco alcune immagini delle distribuzioni natalizie avvenute nei centri di Solidari della Repubblica Dominicana.


















1 dicembre 2010


La visita a Yandiris e Sulequi:
l'altro aspetto della Repubblica Dominicana


La signora Valentina Clerici sta sostenendo una bambina nella Repubblica Dominicana,Yandiris Abreu. Riportiamo la testimonianza della visita alla bambina effettuata dal marito della signora Valentina, il signor Felipe Polanco, che ha colto l'occasione del viaggio per visitare anche la piccola Sulequi Garcia, sostenuta da Marina Pomarico, madre della signora Valentina.
Ecco la testimonianza.



Da molto tempo sentivamo parlare delle adozioni a distanza senza mai approfondire l’argomento fino a quando non siamo entrati in contatto con Solidaria e i suoi progetti nella Repubblica Dominicana.

La scelta è ricaduta su questo Paese poiché ne sono originario, pensando che sarebbe stato più facile recarci lì che in qualsiasi altro posto dove Solidaria opera, con il fine di conoscere personalmente i bimbi adottati. Con mia moglie sosteniamo Yandiris, mentre i miei suoceri sono diventati padrini di Sulequi – entrambe vivono nel Batey di Gautier.

Nella settimana che ho trascorso nella Repubblica Dominicana, ho avuto la possibilità di incontrarle; mettendomi telefonicamente d’accordo con i responsabili del centro, Sig. Domingo e Sig.ra Rosa Alba, mi sono recato insieme a loro a Gautier, pochi km dalla Capitale.
L’incontro è stato molto emozionante, le bimbe mi hanno accolto con i genitori ed i fratelli/sorelle, e sono stato invitato a vedere le case nel villaggio in cui vivono. Naturalmente la mia visita ha richiamato l’attenzione e l’interesse di moltissimi altri bambini, e la tentazione di prenderli tutti in braccio e portarli a casa era fortissima.

Prima di partire, avevamo chiesto a Solidaria di interessarsi direttamente con le famiglie delle bambine sulle loro necessità, per evitare di comprare oggetti superflui, per quanto sia difficile parlare di superfluo, e Solidaria si è operata immediatamente per trasmettere questa nostra richiesta alle famiglie e farci avere le loro risposte. La distribuzione dei doni (vestiti, sandaletti, libri e colori) è avvenuta in un’atmosfera di curiosità e sorpresa, forse le bambine non si aspettavano una visita così tempestiva del “padrino”, infatti le adozioni ce le siamo donate per il Natale 2009.

Credo che per un Dominicano l’entrare in contatto con queste realtà poco fortunate sia meno “impattante” rispetto ad un Europeo, ma ritengo che tutti dovrebbero approfittare di questa possibilità di conoscere un’altra parte della Repubblica Dominicana ben lontana dall’immagine dei depliant turistici e gli Hotel a 5 stelle.

Riteniamo che l’operato di Solidaria nella Repubblica Dominicana sia molto positivo e speriamo di donare un po’ di serenità alle bambine e le rispettive famiglie con il nostro piccolo contributo.


Felipe Polanco


La visita a Yandiris



Il signor Felipe Polanco con la piccola Yandiris nella località di Gautier




Insieme alla madre di Yandiris, a Rosa Alba e Domingos di Solidaria




La distribuzione dei doni a Yandiris




La visita a Sulequi


Insieme ai genitori della piccola Sulequi


Anche Sulequi ha ricevuto dei doni dall'Italia

18 novembre 2010

Haiti: centomila persone con il colera


Un’emergenza senza fine. Ad Haiti, dove la ricostruzione a quasi un anno dal terremoto non è neppure cominciata, è scoppiato il colera. Sono oltre u n migliaio le vittime e i casi di contagio accertati 14.642. Ma l’Organizzazione mondiale della sanità avverte che per ogni caso che arriva ed è confermato in laboratorio bisogna calcolarne almeno altri 75. Il colera quindi potrebbe aver colpito già quasi centomila persone.
«Si cerca di controllare l’epidemia, l’aspetto positivo è che essendo già mobilitati per il terremoto qui ad Haiti siamo pieni di organizzazioni umanitarie e mediche, quindi la risposta c’è, è coerente e immediata, ma il centro del paese è senza ospedali, senza servizi adeguati, e il contagio viene dal fiume, non puoi sterilizzare un fiume» afferma un operatore di cooperazione internazionale.
A dieci mesi dal terremoto, l’epidemia di colera è deflagrata nella capitale Port-au-Prince, dopo i primi casi nel nord. Secondo l’Oms potrebbe essersi originata dalla contaminazione del fiume Artibonite, dove è stato individuato lo stesso batterio presente nel sudest asiatico. La rabbia della popolazione si è scatenata contro i caschi blu dell’Onu di origine nepalese, in una sorta di caccia all’untore scatenata dal panico collettivo. A coordinare il contrasto dell’epidemia e a curare i contagiati è al momento soprattutto Medici senza frontiere, una presenza provvidenziale, ma anche il segno che il governo locale e il ministero della sanità non hanno le risorse e la capacità di prendere in carico la situazione.
L’ultima tragedia di Haiti è esplosa nonostante il lavoro e la massiccia presenza di molte organizzazioni umanitarie. Si poteva evitare? «Il colera scoppia solo se c’è il vibrione responsabile della malattia e finora ad Haiti non c’era» spiegano i Medici senza frontiere, «In realtà dopo il terremoto non si temeva il colera ma epidemie di tetano, febbre tifoide, morbillo ed è partita subito la vaccinazione. Quel che è certo è che ad Haiti, e in particolare a Port-au-Prince c’erano tutte le condizioni perché il colera esplodesse, ovvero pessime condizioni igieniche, difficoltà di accesso ad acqua pulita e sicura, sovraffollamento nei campi sfollati».

A quasi un anno dal terremoto sono un milione e 500 mila le persone che vivono ancora negli accampamenti tendati. A Port-au-Prince in un anno sono solo state spostate le macerie, non ci sono segni di ricostruzione. Le Ong hanno distribuito gli aiuti d’emergenza, lavorato alla riabilitazione delle scuole, costruito latrine e punti di rifornimento dell’acqua potabile ma la ricostruzione delle case spetta al governo con il supporto delle agenzie delle Nazioni Unite, ma secondo le informazioni che circolano ad Haiti, niente si sbloccherà fino a dopo le elezioni, programmate per il 28 novembre. Tenendo conto che il nuovo presidente di Haiti dovrebbe entrare in carica a febbraio, il piano di ricostruzione dovrà ancora attendere.

23 ottobre 2010

Epidemia di colera: un'altra emergenza ad Haiti


Non solo il terremoto, ma ora anche il colera si abbatte su un'isola ferita e già colpita da una catastrofe che a inizio 2010 ha provocato oltre 250mila morti. Le autorità di Port-au-Prince hanno proclamato lo stato di emergenza sanitaria di fronte al dilagare del colera.

Secondo il bilancio delle autorità locali l'epidemia ha causato in pochi giorni la morte di almeno 200 persone e circa duemila casi di contagio, ma è un bilancio destinato a salire.

L'epidemia di colera è stata confermata da una fonte del ministero della Salute, sulla base dei primi risultati delle analisi effettuate dopo i decessi. Il governo ha convocato una riunione urgente con le autorità sanitarie.
''Abbiamo accertato oltre 200 decessi e 1.498 casi di persone colpite da dissenteria. Secondo le analisi di laboratorio, si tratta di colera", ha detto il presidente dell'associazione dei medici di Haiti, in una dichiarazione all'agenzia France Presse.

La maggior parte delle vittime sono state registrate lungo il corso del fiume Artibonite che attraversa il centro e il nord del Paese. "Si tratta di un'epidemia dovuta all'acqua utilizzata nelle case di quelle regioni", ha detto Ariel Henry, direttore del ministero della Sanità di Haiti. "Alcune persone sono morte nelle proprie abitazioni nella regione di Artibonite e nelle zone centrali di Haiti mentre diverse centinaia sono ricoverate e poste sotto controllo", hanno aggiunto altre fonti mediche.

Mentre l'allarme si diffonde anche nella vicina Repubblica Dominicana, che ha lanciato un programma di prevenzione, il presidente di Haiti, René Preval, ha convocato una nuova riunione d'emergenza per decidere come affrontare il dilagarsi della malattia e quali raccomandazioni dare alla popolazione. Il timore delle autorità di Port-au-Prince è che l'epidemia si propaghi rapidamente proprio a causa delle condizioni in cui vivono le centinaia di migliaia di terremotati ospitati nei campi di accoglienza. Sul campo sono già all'opera le organizzazioni internazionali che hanno prestato aiuto anche dopo il sisma di gennaio. La Croce Rossa Italiana sta lavorando per distribuire 30 mila litri di acqua potabile nel dipartimento di Artibonite. Nella stessa regione si sono recate anche le equipe di Medici senza frontiere che, in collaborazione con le autorità sanitarie locali, stanno trattando i pazienti e predisponendo misure necessarie alla prevenzione del contagio.

Un esperto delle Nazioni Unite, Walter Kaelin, ha denunciato in un rapporto la profonda crisi umanitaria che il Paese sta attraversando. "Stando alle stime un milione e trecento mila persone, tra chi ha perso la casa durante il terremoto e chi è sfuggito all'estrema povertà accentuata dal sisma vivono tuttora in campi provvisori a Port-au-Prince e dintorni", ha detto Kaelin. "Gli abitanti dei campi profughi hanno esigenze che vengono gestite internamente dal campo, come ad esempio il bisogno di avere un riparo ma anche altri bisogni urgenti come l'accesso all'assistenza sanitaria, all'acqua, ai servizi igienici e all'istruzione, che coinvolgono anche l'intera comunità, garantendo così il trattamento uniforme tra chi vive nelle tende e chi no".

27 settembre 2010


Qualche pr
ogresso nella lotta alla fame
Nonostante qualche passo avanti, la situazione rimane inaccettabile


Nel 2010 per la prima volta in quindici anni si è invertita la tendenza: 98 milioni di individui sono
saliti sopra la soglia delle 1.800 calorie al giorno, ha detto la Fao con il suo linguaggio tecnico, tipico delle agenzie internazionali.

La fame, insomma, è calata: nel mondo ne soffrono il 9,6% di persone in meno rispetto all’anno scorso. Nel presentare il rapporto Sofi 2010, però, il direttore generale Jacques Diouf ha lasciato poco spazio all’ottimismo: «Con un bambino che muore ogni 6 secondi per problemi connessi alla sottoalimentazione, la fame resta lo scandalo e la tragedia di più vaste proporzioni al mondo» ha detto. «E questo è assolutamente inaccettabile».

Dando un’occhiata alle cifre degli ultimi anni, la buona notizia della Fao risulta ridimensionata. È vero che il numero degli affamati è diminuito, per la prima volta in 15 anni. Ma è anche vero che aveva avuto un’impennata dal 2006 al 2009. Il numero delle persone affamate da 873 milioni del 2006 è salito fino a 1,02 miliardi nel 2009, il livello più alto mai raggiunto. Colpa della crisi alimentare prima e della crisi finanziaria poi, che hanno colpito le persone più vulnerabili, soprattutto in Africa, facendole cadere nel circolo vizioso della miseria e della fame. Ora i nuovi dati della Fao segnano un miglioramento, che però, secondo la stessa agenzia Onu, è da attribuire alla crescita delle economie di Cina e India più che a politiche mirate.

Secondo il rapporto Sofi 2010, la regione con più sottonutriti resta l’Asia con 578 milioni di individui. Ma è l’Africa sub sahariana la regione con la proporzione più alta di affamati: il 30%, con 239 milioni di individui. All’interno del continente, poi, ci sono situazioni differenziate: nel biennio 2005-2007 Congo, Mali, Ghana e Nigeria avevano già raggiunto il primo obiettivo del millennio (sradicare la povertà estrema e la fame), e Paesi come l’Etiopia sono prossimi a farlo. Ma nella Repubblica democratica del Congo la proporzione dei sottonutriti è aumentata del 69%.
Gli otto obiettivi del millennio sono quindi più vicini rispetto a qualche anno fa? I progressi più incoraggianti arrivano sul fronte della salute materna. Secondo il rapporto "Trends in maternal mortality", in Africa sub-sahariana la mortalità materna è diminuita del 26% e in Asia il numero di decessi materni si stima sia sceso da 315 000 a 139 000 tra il 1990 e il 2008, con un calo del 52%.

Il progresso è notevole, sottolinea Unicef, ma il tasso di diminuzione è meno della metà di ciò che è necessario per conseguire l'Obiettivo di Sviluppo del Millennio di ridurre il tasso di mortalità materna del 75% tra il 1990 e il 2015, che richiederà una diminuzione annua del 5,5%; il calo del 34% rispetto al 1990 equivale ad una diminuzione media annua di appena il 2,3%.
Il risultato, tuttavia, segna un progresso evidente contro la mortalità materna, una piaga che affligge soprattutto i Paesi dove il sistema sanitario di base è precario e con poche risorse. Il 99% di tutti i decessi materni nel 2008 si è verificato nei paesi in via di sviluppo, con l’Africa sub Sahariana e l’Asia meridionale, che totalizzano il 57% e il 30% di tutti i decessi.

In vista del Summit Onu del 20 settembre un vasto gruppo di associazioni italiane ha lanciato le sue proposte nel dossier "Raggiungere gli Obiettivi del Millennio. Le raccomandazioni della società civile", indirizzandole al governo italiano e alla delegazione che andrà a New York.





22 settembre 2010



Non pensavo potesse realizzarsi il nostro sogno...

Simona DE ANGELIS e Dionigi DI FRATTA di Capodrise (CE) nello scorso agosto hanno visitato il bambino che stanno sostenendo a distanza
nella Repubblica Dominicana, il piccolo Maicol Junior ed hanno incontrato anche la piccola Berenice De Los Santos, sostenuta dal loro amico Gianluca Porfidia. Ecco la loro testimonianza.




Non pensavo potesse mai realizzarsi il nostro sogno di incontrare Maicol, ebbene si è accaduto... È stato incredibile, un'emozione che credo non abbia mai povato fin ora.
Oltre a lui abbiamo visitato anche Benerice una bambina sostenuta da altri nostri amici, sempre nella Repubblica Dominicana, ed anche qui le lacrime sono sgorgate a non finire.

C'erano inoltre tanti altri bambini di cui non dimenticheremo facilmente i loro occhietti, e la gioia che mostravano venendoci incontro mentre prendevano le caramelle che raccoglievano nelle loro magliette, per chi le aveva!
Mio marito ed io abbiamo constatato che Solidaria cerca davvero di aiutare quei bambini e di dare a loro delle basi per migliorare il loro futuro .


Grazie a tutti coloro che sostengono un minore a distanza e grazie a Solidaria che ci permette di aiutare questi piccoli Angeli.

Simona De Angeli e Dionigi Fratta




Simona e Dionigi con Maicol






Simona e Dionigi con Berenice, sostenuta da Gianluca Porfidia





6 settembre 2010


La guerra del pane



L’esecutivo di Maputo non riconsidererà gli incrementi già decisi, condannando alla povertà i due terzi della popolazione. E in tutto il mondo cresce il rischio di una nuova stagione di guerre per il pane. Dieci morti e quasi 300 feriti non sono bastati. Dopo due giorni di guerriglia urbana, con negozi distrutti e saccheggiati, autobus e automobili dati alle fiamme e l’esercito costretto a intervenire per dare man forte alla polizia e aiutarla a disperdere i manifestanti scesi in strada per protestare contro gli aumenti dei prezzi, il governo del Mozambico ha dichiarato che gli incrementi dei costi decisi nelle ultime settimane devono essere considerati «irreversibili».

Per uno Stato che supera di poco i 20 milioni di abitanti e in cui 14 di questi vivono al di sotto della soglia di povertà e stipendi che non arrivano ai 2 dollari al giorno, questo significa condannare la maggior parte della popolazione all’indigenza e alla miseria, con il rischio di nuove ondate di protesta, altri scontri e altre vittime. I dati raccolti dal Fondo monetario internazionale indicano che l’economia del Mozambico cresce più velocemente di quella dei suoi vicini. Nel Paese africano, tuttavia, i prezzi sono in continuo aumento e l’inflazione galoppante erode settimanalmente i già miseri stipendi dei lavoratori.

Il primo settembre i prezzi dell’acqua e dell’elettricità sono aumentati del 13 per cento, mentre già all’inizio di agosto i carburanti erano aumentati dell’8 a causa della politica di liberalizzazione portata avanti dal governo di Maputo, che sta progressivamente smettendo di sovvenzionare la benzina.
Come se tutto ciò non bastasse, la prossima settimana è previsto un ulteriore aumento del prezzo del pane, che andrà ad aggiungersi a quello già registrato nei giorni scorsi.

Recentemente la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha lanciato l’allarme per la crescita dei prezzi dei generi alimentari sul mercato internazionale, che hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi due anni, pur rimanendo comunque al di sotto del picco toccato nel giugno del 2008.
Tra luglio e agosto l’impennata è stata del 5 per cento. Un aumento in parte legato al blocco delle esportazioni di grano russo deciso da Mosca dopo i devastanti incendi che il mese scorso hanno distrutto parte del suo raccolto, ma che in diversi parti del mondo, come in Mozambico, rischia di essere strumentalizzato da governi e compagnie private per generare aumenti dei prezzi e incrementare i propri profitti. Anche per questo le Nazioni unite hanno deciso di analizzare il problema convocando per il 24 settembre una sessione straordinaria del Gruppo intergovernativo sui cereali e del Gruppo intergovernativo sul Riso della Fao.

Intanto però torna ad affacciarsi la possibilità di una nuova stagione di guerre per il pane, come quelle che furono combattute due anni fa in molte delle zone povere del pianeta, dal Messico al Bangladesh, con milioni di persone costrette a lottare contro leggi di mercato e principi economici solo per poter (provare a) mangiare un semplice boccone di pane
.

2 settembre 2010


Dietro la rivolta di Maputo, carovita e ingiustizie



E' di sette morti, fra cui due bambini, e quasi un centinaio di feriti il bilancio degli scontri in varie zone della capitale del Mozambico, Maputo, tra la polizia e migliaia di manifestanti, scesi in strada per protestare contro il rincaro dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità.

I disordini sono coincisi con l'entrata in vigore di rincari in una serie di servizi essenziali, dall'acqua all'elettricità. Ma l'aumento del prezzo del pane, che lunedì dovrebbe rincarare quasi del 40%, avrebbe rappresentato la scintilla che ha fatto esplodere le proteste: proteste non organizzate da nessun sindacato o associazione ma solo da un semplice passaparola circolato attraverso sms sui cellulari.

"Dietro la rivolta di Maputo c'è il carovita, la povertà dei sobborghi, un divario sociale che si allarga sempre più" afferma l’agenzia Misna. I disordini sono coincisi con l'entrata in vigore di rincari in una serie di servizi essenziali, dall'acqua all'elettricità. Lunedì, poi, il prezzo del pane dovrebbe aumentare quasi del 40%. Proprio quest'ultimo aumento avrebbe rappresentato la scintilla che ha fatto esplodere la protesta di oggi; una protesta non organizzata da nessun sindacato o associazione ma solo da un semplice passaparola circolato attraverso sms sui telefoni cellulari.
"La corsa dell'inflazione è cominciata già l'anno scorso, subito dopo la conferma elettorale del 'Fronte di liberazione del Mozambico' e la fine delle sovvenzioni del governo". Nel periodo che ha preceduto il voto legislativo dell'Ottobre 2009, spiegano alla Misna, il governo ha tenuto bassi i prezzi della benzina e di molti beni di largo consumo. Sul lungo periodo, però, questa politica non era sostenibile da un punto di vista finanziario. Quest'anno, dalla fine di Marzo alla fine di Agosto i prezzi della benzina sono aumentati quasi del 50%. L'inflazione, prima del voto al 2% e oggi al 16%, ha determinato la svalutazione del metical e dunque un aumento del costo dei beni d'importazione denominati in dollari o rand sudafricani. Di queste dinamiche, decisive per i rincari della benzina ma anche della farina acquistata sui mercati internazionali, raccontano alla Misna anche alcuni missionari.
"Saccheggi dei negozi e sassaiole con le forze dell'ordine - dice padre Konrad Klich, missionario del Verbo divino a Maputo - infiammano i sobborghi, dove manca il lavoro e i poveri si sentono abbandonati".

Ad alimentare le tensioni, sottolineano le fonti della Misna, sono anche le disparità sociali. "Il Mozambico è ricco di carbone, legname e altre risorse naturali ma le esportazioni arricchiscono solo un'elite ristretta". Le fonti della Misna escludono un coinvolgimento significativo dei partiti di opposizione, il Movimento per la democrazia multipartitica e la Resistenza nazionale del Mozambico, deboli e divisi. Difficile prevedere come andrà a finire, nonostante un precedente importante: nel Febbraio 2008, prima delle elezioni dell'Ottobre, manifestazioni e disordini spinsero il governo a cancellare un aumento del 50% delle tariffe per i trasporti.

24 giugno 2010




Haiti: diario di viaggio

Il nostro responsabile per i Caraibi, Domingo de Peña, è tornato ad Haiti con un altro carico di generi alimentari. Ecco il racconto del suo viaggio.



Quando giungo alla frontiera di Jimani, una delle tre frontiere tra la Repubblica Dominicana ed Haiti, è pomeriggio inoltrato. Sono partito a metà mattinata da Santo Domingo con il pick up di Solidaria carico di alimenti ed ora attendo di varcare l’arrugginito cancello che segna il confine tra due mondi: il benessere, pur se relativo, della Repubblica Dominicana e la povertà di Haiti.
Non vi è più la confusione delle settimane scorse quando, a qualunque ora del giorno e della notte, decine e decine di veicoli erano in attesa di passare dall’altra parte: vetture dell’ Onu, della Croce Rossa, di organizzazioni umanitarie, colonne di autocarri carichi di tende, medicinali, generi alimentari. Ora i veicoli davanti a me non sono molti e in pochi minuti, facilitato anche dal fatto che ho un carico di prodotti alimentari da consegnare, mi ritrovo in territorio haitiano, sulla polverosa e tortuosa strada di terra battuta stretta tra la montagna e il lago Azuel.

La meta di oggi non è lontana: la missione Jean Bosque di Fons Parisien, dove sono diretto, dista solo una trentina di chilometri e vi arrivo all’imbrunire, atteso da padre Wilnor, il superiore. Qui Solidaria sta sostenendo una parte degli alunni della scuola primaria della missione, molti dei quali rimasti orfani dopo il terremoto e con padre Wilnor dovrò definire gli aspetti organizzativi del programma di aiuto. In uno dei posti più poveri della terra, dove tutti i giorni si lotta per vita, questa missione è un’ isola felice per tanti bambini che possono sperare di sopravvivere alla povertà che li affligge dalla nascita, crescere, studiare e avere la possibilità di cambiare il proprio destino.


Passo la notte in missione e la mattina dopo, in compagnia di Eric, il missionario haitiano che mi indicherà la tendopoli in cui lasciare il carico di generi alimentari, mi dirigo a Porto Principe. In febbraio e in marzo ero venuto con altri carichi di alimenti acquistati da Solidaria. Le strade erano intasate dalle colonne di aiuti e per raggiungere la capitale avevo impiegato diverse ore ma ora vi è poco traffico, segno che la fase d’emergenza è terminata.
Alla periferia di Porto Principe iniziano a vedersi le prime tendopoli.


In tutta la città ve ne sono 347 – mi informa Eric – ed ospitano quasi 700 mila persone. La situazione sta migliorando ed anche i rifornimenti d’acqua sono assicurati”. Le affermazioni di Eric sembrano trovare conferma nelle numerose autobotti che vedo circolare per le strade, ora ripulite quasi del tutto dalle macerie degli edifici crollati, pur se rimane la dolorosa immagine di un paese devastato, dove tutto sembra provvisorio. Lungo le vie del centro cittadino, tra la polvere sollevata dai veicoli e il sole caldo, centinaia di bancarelle espongono tutto quello che è stato possibile estrarre dalle macerie e che nessuno ha rivendicato: ferro, stoviglie, materiale elettrico, pezzi di elettrodomestici, penne, libri...


Passata la situazione di estrema emergenza delle prime settimane, con morti dappertutto, feriti che non potevano essere curati, persone disperate prive di cibo e acqua, ora la vita ha ripreso una sembianza di normalità. Lungo le strade iniziano a vedersi alunni in divisa, banche e mercati hanno ripreso a funzionare e persino qualche ristorante ha aperto i battenti. Piccoli segni di rinascita attraverso cui si ha la sensazione di un ritorno alla normalità, anche se questo richiederà anni. Nella tendopoli dove lasciamo il carico, in pieno centro, passo tra funi stese con biancheria ad asciugare e teli di plastica dove si commercia, si cucina, si dorme, si gioca: la vita sta riprendendo lentamente i suoi spazi. Abbassandomi tra funi e teli, tra sguardi curiosi e bambini con occhi ridenti, vengo invitato ad entrare e sedermi.


Ascolto storie di lutti e sofferenze, e sono invitato a raccontare a mia volta chi sono e perchè sono venuto. Gli sguardi delle persone sono pieni di dignità, malgrado nella maggior parte di loro si riconoscano i segni del dolore e non può essere diversamente con oltre 250 mila vittime, 300 mila feriti e oltre un milione di senza tetto. La fortuna non ha favorito questo paese che, devastato da povertà, violenza politica e malgoverno, è colpito da disastri naturali come uragani, inondazioni e terremoti, i cui effetti sono aggravati anche dalla mancanza di un piano regolatore, tanto che la gente ha costruito come voleva e dove voleva.


A quattro mesi dalla catastrofe, i problemi da affrontare sono ancora molti. Non è possibile pensare ad una sistemazione definitiva per i senza tetto e le tendopoli rimarranno sino a che non inizierà la ricostruzione. Lasciato il carico di alimenti, mi soffermo davanti alle rovine della cattedrale, cimitero per decine di giovani che stavano provando il loro repertorio di canti, per l’arcivescovo e il vicario. Perchè tanti morti? Chiedo più a me stesso che non a Eric. “ Per tante cose" – mi risponde. "Soprattutto per la situazione sociale e per l’abbandono. In Haiti, la presenza dello stato è sempre stata precaria. Sino agli anni Sessanta non vi era molta differenza tra Haiti e uno degli altri paesi della regione, come per esempio l’Honduras o la Repubblica Dominicana, ma poi la dittatura ha distrutto questo paese. Negli anni Settanta la gestione economica è stata disastrosa e ha causato un grande esodo rurale. Negli anni Ottanta la cooperazione internazionale ha deciso che Haiti, il paese più povero dell’occidente, dovesse essere sostenuto ma l’aiuto, realizzato senza nessun dialogo con la società haitiana, non ha fatto altro che consolidare la nostra povertà. Se non si entra in contatto con la popolazione, non si potrà mai costruire nulla”.


È sera quando torniamo alla missione di Fons Parisien. Le cose iniziano lentamente a migliorare e adesso sta a noi non dimenticare e accompagnare questo popolo nel lungo e lento processo di rinascita, che ci auguriamo riesca a portarlo ad una qualità di vita che ogni persona merita.

Domingo de Peña