13 gennaio 2011

Non solo Tunisi:
sono 80 i paesi a rischio alimentare



L’esercito è schierato a Tunisi, e la “guerra del pane” continua anche in Algeria. Ma i movimenti di protesta scatenati dall’aumento dei beni di prima necessità non sono solo un problema del Nord Africa. Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione ha detto che sono 80 i Paesi in situazione di deficit alimentare e che «oggi viviamo l’inizio di una crisi alimentare simile a quella del 2008».

Quella che è stata chiamata “rivolta del pane” si diffonde a catena da un centro urbano all’altro, anche attraverso il tam tam dei social networks, come twitter a facebook. Dalla Tunisia all’Algeria. Il 4 gennaio nel quartiere popolare di Belouizdad ad Algeri gruppi di giovani affrontano le forze di polizia. A innescare la miccia anche è anche qui la decisione del governo di aumentare del 20-30% i prezzi dei beni alimentari di largo consumo, come il pane, l'olio e lo zucchero. Dopo la capitale gli scontri scoppiano anche in altri centri algerini, tanto che il ministro del commercio abolisce la tassa su pane e alimentari, ma il provvedimento basta a riportare la calma.

Le cause. L’aumento del prezzo del cibo è uno dei fattori scatenanti, anche se non l’unico, della rivolta in Nord Africa, che potrebbe essere la spia di un disagio più ampio. La Fao già a dicembre parlava di una «situazione allarmante» a livello internazionale, che rischia di travolgere soprattutto le economie dei Paesi emergenti. Un dato è certo: l’Indice dei prezzi alimentari (Ffp) - che misura l'andamento mensile dei prezzi di un paniere che include tra l’altro cereali, carne, zucchero, olio di semi - ha toccato a dicembre i massimi storici.
«La siccità in Russia e Kazakisthan accompagnata dalle inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina stanno facendo aumentare i prezzi dei cereali» avvisava già a dicembre l’economista Fao Abdolreza Abbassian.
È in atto una nuova crisi alimentare, simile a quella scoppiata nel 2008, che fu causata fra l’altro da un’ondata speculativa sui beni di prima necessità? La Fao è cauta, ma nei suoi rapporti non riesce a essere rassicurante: lo stesso Abbassian ha dichiarato che è «una follia» aspettarsi che i prezzi raggiunti a dicembre rimangano un picco insuperabile. Per Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari mette a rischio circa 80 paesi nel mondo che attualmente sono in una situazione di deficit alimentare.

Oggi, come nel 2008, sottolinea de Schutter, «non c’è un problema di penuria». Tuttavia, rileva, quando si accumulano informazioni come quelle legate ad incendi in Russia, alla canicola in Ucraina, a piogge troppo forti in Canada o altre notizie di questo tipo, spiega, «alcuni operatori di mercato preferiscono non vendere subito mentre gli acquirenti provano ad acquistare il più possibile: quando tutti fanno così i prezzi aumentano». A questo fenomeno, sottolinea, «si aggiunge l’aumento della produzione legata ai biocarburanti». Gli stock mondiali di cereali nel 2011, sottolinea de Schutter, «saranno pari a 427 milioni di tonnellate contro 489,8 nel 2009: questa perdita di circa 63 milioni di tonnellate per oltre i due terzi è imputabile agli Usa e all’Ue che puntano sui biocarburanti».


I rimedi. A rischio crisi alimentare sono soprattutto i paesi africani.«I paesi del Sahel», sottolinea de Schutter, «sono generalmente in una situazione di deficit alimentare perché producono spesso per l’esportazione e dipendono dal riso e dal grano per alimentarsi».

L’impennata dei prezzi del grano del 2008, però, qualcosa ha insegnato. «L’agricoltura è tornata a essere una priorità», dice de Schutter, «ma i fondi promessi tardano. Sui 20 miliardi di dollari promessi al G8 dell’Aquila nell’aprile del 2009 solo il 20% è stato sbloccato. È molto deludente».


Fonte: Unimondo