2 luglio 2011


Il rapporto di Amnesty International 2011



L’America Lati
na continua ad essere la regione con il più elevato tasso di disuguaglianza sociale al mondo”. A questa conclusione è giunto il Rapporto 2011 di Amnesty International sullo stato dei diritti umani nel mondo, con riferimento al continente latinoamericano. Il rapporto sottolinea come gli ultimi 50 anni abbiano rappresentato per il Centro e Sud America un periodo di progresso, non solo dal punto di vista della crescita economica, ma anche nel rispetto dei diritti umani, con specifica menzione di questi ultimi in quasi tutti i quadri normativi dei paesi che compongono il continente.

Tuttavia, molte sono ancora le situazioni nelle quali la difesa dei diritti umani si ferma sulla carta, non riscontrando analoga tutela nella pratica. Di conseguenza, continua il rapporto, se i singoli governi e soprattutto le organizzazioni di base e la società civile possono considerarsi meritevoli del conseguimento di risultati positivi, si tratta ancora di un progresso lento e zoppicante.

Caratteristica specifica del processo di crescita sociale in America Latina è stata la spinta costante degli strati di popolazione più vulnerabili, gli stessi che sono stati, e in alcuni casi continuano ad esserlo, vittime di violenze e soprusi. È stato proprio lo sforzo di coloro che più hanno sofferto, che ha reso impossibile che i governi di riferimento potessero continuare ad ignorare la tutela dei diritti umani nelle rispettive agende politiche.

Il rapporto 2011 evidenzia come la difesa dei diritti umani continui ad essere un esercizio pericoloso in gran parte della regione, in particolar modo in Brasile, Colombia, Cuba, Ecuador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico e Venezuela, paesi dove gli attivisti sono vittime di omicidi, sparizioni, minacce e altre limitazioni delle libertà personali, in molti casi favoriti da sistemi giudiziari incapaci di assicurare alla giustizia i colpevoli. Emblematico il caso del Messico, dove la Commissione Nazionale per i Diritti Umani ha denunciato oltre 1600 casi di abusi compiuti da membri delle forze armate, senza che si sia registrato un solo caso di condanna definitiva.

Tra le popolazioni più esposte a violazioni ed ingiustizie, da sempre spiccano in America Latina quelle indigene. Le comunità native sono considerate un intralcio agli interessi economici di gruppi di imprese locali e multinazionali, arricchitisi oltre misura negli ultimi anni, grazie allo sfruttamento del suolo e all’avvio di mastodontici progetti di sviluppo, come miniere, dighe e vie di trasporto. Il 2007 avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta, grazie alla firma di diversi stati della Dichiarazione sui diritti delle popolazioni native. Ad oggi, però, nessuno degli stati firmatari ha varato alcuna norma di attuazione a tutela delle comunità colpite.

Dal punto di vista della sicurezza pubblica, tutti i paesi dell’America Latina vivono il problema della violenza organizzata, che trova nel fenomeno del pandillaje (associazioni di bande di strada) una delle proprie espressioni più tipiche. Ciò si manifesta in particolar modo in contesti urbani caratterizzati da estrema povertà, laddove più si fa sentire l’assenza dello stato e di valide alternative alla vita di strada. La rapidissima proliferazione di armi di piccolo calibro alimenta il problema ed i singoli governi hanno dimostrato scarso interesse ed impegno nella risoluzione del fenomeno. Alla violenza si è pensato di rispondere solo con repressione ed ulteriore violenza, anziché con programmi di assistenza ed inserimento sociale.

Corruzione e impunità sono ulteriori elementi che peggiorano il quadro della tutela dei diritti umani nella regione. Tuttavia, secondo quanto riportato da Amnesty International, negli ultimi anni enormi progressi sono stati raggiunti sotto questo punto di vista. Storiche ed esemplari sono state le sentenze di condanna dell’ex presidente argentino ed ex generale militare Reynaldo Bignone, dichiarato colpevole di omicidio e rapimento, così come dell’ex presidente peruviano Alberto Fujimori, attualmente in carcere per omicidio, corruzione e violazione dei diritti umani.
Il rapporto 2011 etichetta il continente americano come “luogo di lavoro pericoloso per i professionisti dei mezzi di informazione”. In Messico, Honduras, Brasile e Colombia, diversi giornalisti impegnati nella denuncia di casi di corruzione e violenza sono stati assassinati. La libertà di stampa e di espressione ha subito pesanti limitazioni in particolare in Venezuela, a Cuba e nella Repubblica Dominicana, dove alcune emittenti tv e radio sono state costrette alla chiusura.
In definitiva, nonostante i già sottolineati progressi compiuti su tutto il territorio latino, molti sono ancora i gruppi di popolazione che vedono negati i propri diritti più elementari. La mancanza di volontà politica e il prevalere degli interessi economico-commerciali sui diritti sociali, rendono l’America Latina una regione dove si registra quotidianamente un livello di abusi tutto’ora inaccettabile.

Fonte Unimondo